Cocktail, long drink, aperitivi: shakerando tutto nasce la mixology
Un termine inglese, difficilmente traducibile in italiano, che si riferisce a quell’arte o mestiere di miscelare alcolici e altre bevande complementari per creare un’esperienza unica in un cocktail. Da qui ne deriva che il mixologist è un’artista del drink, che sa riprodurre perfettamente ogni tipo di cocktail. Ebbene, sì. Si profila sempre più come una tendenza in crescita e tanti consumatori si stanno appassionando. Molte aziende si stanno adeguando e producono bevande per realizzarli, diversificando con successo la loro proposta. La parola cocktail appare per la prima volta nell’edizione del maggio 1806 del “Balance and Columbian Repository” che ne dava la seguente definizione: «Il “Cocktail” è una bevanda stimolante composta da superalcolici di vario tipo, zucchero, acqua e amari». Le prime ricette sono di fine ‘800, pubblicate su “How to Mix Drinks; or, The Bon Vivant’s Companion”, di Jerry Thomas. Oltre alla lista delle solite bevande con mix di liquori, c’erano 10 ricette chiamate “cocktails”. Ciò che li differenziava era l’uso degli amari, anche se questo tipo di ingrediente non si trova oramai quasi più nelle ricette moderne. Ma è con il XX secolo che hanno successo, anche come reazione al triste periodo del Proibizionismo negli Stati Uniti (1919-1933), poiché quando il consumo di alcool era illegale, i cocktail erano comunque bevuti. Essendo scadente la qualità dei liquori i baristi tendevano a mescolarli con altri ingredienti. A questo periodo si fanno risalire le prime vere raccolte di ricette moderne, con la “Guide du barman et du gourmet chic” del 1921 e le “900 recettes de cocktail et Boissons Américaines”, del 1927, a cura di Adolphe Torelli (noto barista del Winter Palace di Nizza) e il “The Savoy Cocktail” inglese del 1931. Non dimentichiamo che il cinema e la letteratura contribuirono al successo dei cocktail. Come non citare Ernest Hemingway? Scrittore che nell’aprile 1954 frequentò Udine e il Friuli. Aveva raggiunto il luogo ideale per riprendersi, Venezia, rifugiandosi all’hotel Gritti e lì, fra un daiquiri e un mojito, alcuni dei suoi cocktail preferiti, il vecchio leone tornava a essere sè stesso. Era confortato dalle cure della moglie, dalle attenzioni degli amici ma anche dalle visite della giovane Adriana Ivancich, che aveva conosciuto nel ’48 a Latisana, mentre si recava a una battuta di caccia. Fu lei a dargli l’ispirazione per la pubblicazione del romanzo “Di là del fiume e tra gli alberi”, ambientato anche a San Michele al Tagliamento dove gli Ivancich avevano una villa. Federico Kechler invitò Ernest per alcuni giorni nella sua villa di Percoto. Così, da Venezia, Hemingway partì per compiere una breve deviazione e raggiungere Udine, dove lo aspettava Carlo Scarsini, allora al Gazzettino. Quel venerdì sera si trasformò in un’occasione storica per la città: al tavolo del ristorante Friuli fu accolto da una schiera di giovani intellettuali, con Loris e Piero Fortuna, Isi Benini, Carlo Scarsini, gli architetti Gino Valle e Aldo Bernardis. Dopo un’oretta di cocktail e autografi, Hemingway si congedò e raggiunse villa Kechler per una vacanza. Prima di tornare a Venezia fece due passi fra le dune di una Lignano Pineta che stava nascendo, quella in cui c’è il Premio Hemingway e dove si assaggiano i suoi drink: accurate versioni o libere interpretazioni dei tanti cocktail descritti nelle sue pagine più famose.