Prima della Quaresima sfoghiamoci a Carnevale: da sempre momento di festa
I festeggiamenti di Carnevale quest’anno cominciano il 28 gennaio per culminare martedì 13 febbraio, da tutti conosciuto come il Martedì Grasso. Gli appuntamenti intermedi sono: giovedì 8 febbraio (Giovedì Grasso) e domenica 11 febbraio (l’effettiva domenica di Carnevale). Il 14 febbraio, oltre che San Valentino, sarà anche il Mercoledì delle Ceneri, quello che segna l’inizio della Quaresima, i 40 giorni che portano al giorno di Pasqua. Ma la Quaresima è digiuno e anche penitenza, pratiche che i lettori di Èsquisito non contemplano! Su questo allegro periodo dell’anno ci sono molti scritti e racconti del passato, come pure usanze e piatti tipici, che ci rendono l’idea di come fosse Carnevale nei secoli addietro a Gorizia, a Trieste e in Friuli. In molte sue poesie troviamo quello che ha vissuto Ermes di Colloredo nel Seicento: “Oh puar Carneval!/Tant legri e plen di spass,/Morbid, passut e grass/Come un purciel,” e in un’altra “Par gioldi il Carneval chesg ultins dis/come cu va, no chiati mior costrut/che bevi di bon vin: prindis, Zanut,/a la uestre salut, e dai amis” e ancora “Sòi Carneval, saveso:/Sòi chel, il di cui nom/Fàs sta ogni galantom/In alegrie”, ma metteva in guardia gli amici del suo tempo, ricordando che Carnevale era addirittura causa d’ogni male e d’ogni rovina! Certamente non ne stavano lontani i triestini e nemmeno i goriziani, da quello che si legge in testimonianze, diari e racconti di viaggio dell’800, oltre che in detti popolari. “De zenaro e de fevraro dindio o capon xe ‘l bocon più caro” e sulla iota: “chi la magna no ga mal, sia Quaresima o Carneval”. È Francesco Babudri nel 1931 a scrivere un libretto per raccontarci le tradizioni culinarie e non solo. Ad esempio le canzonette popolari notissime di Trieste mettono bene in rilievo, come “far carneval” – frase tipica e tecnica – sia stato sempre il sogno di ogni… fedel triestino. Magari male in arnese “co le braghe straponte”, ma far carneval! Un classico menu triestino carnascialesco, quale ce lo ricorda anche Riccardo Gurresch, nelle sue briose pagine di vita triestina, è questo: risotto “coi figadei”, ala di cappone arrosto, insalata, torta di crema, vino a stroscio, “pan de Milan” col maraschino, caffè nero con la “brigna”, e per le signorine la “ciculata”, bevanda preferita delle bellissime “mule” triestine. E folleggiavano e ben mangiavano per Carnevale anche i nostri vecchi, se dovevan risentirne in Quaresima gli effetti, cui questa vecchissima strofetta accenna: “Carneval: bali, fragioni, fiori, mascare, caponi; de Quaresima xe bava, tosse e renga co la fava”. E i vecchi, pur stentando a confessare le loro marachelle, ancor oggi si scuseranno col detto proverbiale: “una volta l’ano se pol ‘ver el matìo” – che in fondo non è che l’oraziano “semel in anno licet insanire”. Non van poi dimenticate le ostriche, di cui il triestino aveva addirittura un culto e che da fine ‘800 non ci sono più, per la realizzazione dei cantieri navali. Anzi era tradizionale la combinazione di “ostrighe de le saline de Zaule con vin de Servola”, che fece le spese di banchetti pomeridiani per Carnevale e per Quaresima nel “buon tempo antico”. Ed eccoci arrivati ai dolci storici. Infatti, alcuni scrittori ricordano i galani (oggi diffusi solo in Veneto), che a Trieste per Carnevale erano in dolce compagnia con “fritole, crostoli, bignè” e pure con i “cràfen” (gonfiotti).